IPNOSI TRA NENIA E NINNA NANNA
Uno studio di Romina Ciuffa
Parte 2
segue da Parte 1 al link www.psichelogia.com/post/ipnosi-sesso-musica
“Nam(u) myoho renge kyo” significa “legge mistica di causa ed effetto attraverso il suono”. Chi ha avuto esperienza nel mantra buddista ha una prima, costante domanda, di solito lasciata irrisolta con l’uso della pratica e la presa d’atto che “funziona”: com’è possibile che, ripetendo parole che all’orecchio inesperto sono solo suoni senza senso, anche non conoscendone il significato si possa raggiungere «la buddità», lo stato vitale più elevato di armonia con se stessi e con il mondo? Il mantra è questo: un fenomeno sonoro che salva il suo praticante.
Secondo il monaco buddista Nichiren, la recitazione quotidiana di quest’invocazione consente a chiunque di raggiungere la propria natura illuminata. Namu indica la devozione, ha il significato di apertura e accettazione della legge dell’universo, armonizzandovi la propria vita e traendone forza e saggezza per superare le difficoltà. Myo sta per meraviglioso e Ho per Dharma, ossia legge ed ente. Renge indica il fiore di loto, il risveglio e lo stato di illuminazione che emerge dalle difficoltà della vita e la contemporaneità di causa ed effetto. Kyo indica l’insegnamento del sutra e la scrittura o il suono attraverso cui si esprime: anche il suono della meditazione è responsabile del percorso illuminato.
Certi suoni sono considerati sacri in tutto il mondo, curativi. Pitagora e Ralph Abraham consideravano le radici della matematica, della musica e del misticismo strettamente legate nella vibrazione-informazione.
Per un genio, il medico Alfred Tomatis, l’orecchio sarebbe un organo primario di consapevolezza: «Certi suoni sono efficaci come due tazze di caffè», sosteneva.
Seppur un precetto buddista tra le regole etiche della vita indica: «Astieniti dal canto, dalla danza, dalla musica e da ogni spettacolo indecente».
Secondo alcuni psicologi dell’Università di Washington è ragionevole dedurre che la meditazione, capace di alterare drammaticamente la consapevolezza, produca anche un effetto differenziale sul funzionamento dell’emisfero destro: i dati risultati dai non meditatori e dai meditatori inesperti rientrano nei parametri normali; sono quelli dei meditatori esperti che si situano al di sopra della media. In realtà, ciò non è altro che trance indotta in un processo ipnotico musicale, ripetitivo. Una nenia.
Per spostare il campo proiettivo oltre la meditazione, che richiama uno spazio orientale, si può far riferimento al rosario cattolico: la ripetizione quasi angusta, supportata dalla fede o dall’obbligo morale, familiare, ovvero l’intento di raggiungere uno scopo quasi magico: il cambiamento. Quasi un millennio prima di Cristo l’induzione ipnotica era praticata dai cinesi: attraverso canti e danze, essi portavano l’ipnotizzato in uno stato di consapevolezza differente. I profeti del dio Baal per riuscire a percepire i messaggi e comunicare le proprie profezie si prodigavano in estenuanti salti intorno all’altare fino a che non cadevano in trance.
Ripetitività̀ che appare anche nei rituali druidici: questi, per indurre nei loro soggetti il così detto “sonno magico”, cantavano delle nenie lunghissime, mentre il soggetto si trovava disteso per terra. Praticamente tutti i popoli, impiegando forme anche raffinate di ipnosi, ne hanno ignorato l’esistenza e le leggi che la regolano, finendo per attribuire tutti i successi al divino, al sovrannaturale e al “sonno magico”, forma privilegiata di contatto con il divino e con l’aldilà̀. Chi si occupava di ciò̀ che oggi è ipnosi apparteneva all’ambito magico o religioso. Ma il sonno magico è, in effetti, quello della ninna nanna.
La ninna nanna è uno degli esempi più lampanti di ipnosi musicale, a specifico fine di addormentamento, ossia rilassamento per giungere ad uno stato ulteriore rispetto a quello della trance, immediatamente successivo, del quale a volte i confini non sono marcati ma nel quale le immagini e le distorsioni temporali si equivalgono.
Soprattutto nella lingua italiana, essa si addice allo stampo ericksoniano in cui la metafora prevale, e sono contenute narrazioni spesso non-sense[1]. Ciò che viene da chiedersi, piuttosto, è come sia conciliabile certo contenuto, spesso angoscioso, con quanto detto. Soprattutto nelle ninne nanne meridionali del secolo scorso (o di altre tradizioni simili), era presente un elemento di sofferenza che faceva da collant ad una situazione di povertà e che attorno ad essa si è consolidato.
Ma qui entra immediatamente in gioco Erickson: i suoi racconti seguono spesso modelli archetipici, quali si trovano nelle fiabe, nei racconti biblici, nei miti del folklore. E come in questi ultimi, in molti di essi è presente il tema della ricerca. Tutti portano a un mutamento, nella direzione della crescita e dell’apertura. La ninna nanna è, in ciò, comparabile. Perché non può essere sottratta al contesto nel quale essa viene elaborata: un contesto accudente.
La ninna nanna possiede uno scopo secondo: l’iniziazione del bambino alla cultura e alle tradizioni attraverso melodia e parole, nonché all’interculturalità.
Oltre a ciò, può costituire lo sfogo materno o dell’accudente in genere, il catalizzatore di emozioni, ansie, desideri, visioni del mondo. È, a tutti gli effetti (ove presente), il primo contatto del bambino con la musica e la musicalità attraverso il caregiver, solitamente attraverso la parentalità femminile.
Se da una parte la ninna nanna rappresenta uno dei testi popolari più̀ arcaici, in cui il ritmo molto uniforme e la ripetizione delle parole tendono a produrre un effetto ipnotico e rappresentano una formula rituale, un elemento magico per far addormentare, contemporaneamente i testi danno a coloro che li eseguono sollievo psicologico e costituiscono un meccanismo utile all’alleggerimento delle tensioni. In questo caso la musica è stimolo di situazioni in cui il comportamento linguistico si libera dai condizionamenti che, invece, agiscono nel discorso ordinario e usuale. Anche qui, proprio come nell’ipnosi, le difese scendono, la cognizione lascia spazio all’emozione, e si entra in un mondo in cui le parole non sono quello che dicono.
Le ninne nanne sono state distinte in tre tipi, sebbene non applicabili a tutte [2]: quelle a carattere “magico”, il cui sonno è invocato direttamente; quelle con carattere erotico più o meno esplicito; quelle di sfogo, in cui la donna lamenta la condizione propria o umana. Non è comunque detto che l’espressione di ansie e timori prenda la forma di un lamento, bensì può affiorare trasversalmente a mo’ di metafora. Inoltre, la narrazione non è collegata alla logica cognitiva, quanto più strettamente alla tecnica della libera associazione delle idee e delle immagini propria di un processo onirico.
“La dimensione del sonno è particolarmente coerente con il sonno indotto dal movimento della culla (…). La spiegazione o sematizzazione, cioè l’interpretazione di una massa di espressioni di ansietà, timori, desideri etc., conscie, semiconscie e inconscie, spesso quasi caotiche e prive di senso, è tipica dei sogni. (…) Il carattere stesso dell’evento-ninna nanna fornisce un contesto naturale per il processo onirico. Il dondolio della culla, la curva melodica della voce spesso inducono nella madre stessa una condizione di rêverie, dando luogo in lei a momenti di intima riflessione in cui timori e desideri profondi possono affiorare alla coscienza. Non avviene forse spesso, ad esempio, che sia la madre sia il bambino, o la madre invece del bambino si addormenti, in seguito all’impegno del cullare (o si tratterà semplicemente di sfinimento da parte della madre?)” [3].
Ecco, in queste ultime righe di descrizione della ninna nanna, è evidente il forte parallelismo (quando non coincidenza) con il fenomeno ipnotico. Metaforizzazione, rapport, trance di entrambi i soggetti (ipnotizzatore-ipnotizzato), il “sogno ad occhi aperti”. Un esempio di ninna nanna è un palese esempio di ipnosi: Fai la nanna, fai la nanna - Il bambino addormenta la mamma; - E la mamma dormirà, - Se il bambino la nanna farà. Qui è esattamente descritto, attraverso il contenuto solo, il rapporto circolare che si instaura tra i due soggetti, imprevedibile da una parte, dall’altra parallelo, accompagnatorio, accudente, da parte di entrambi. Il tono della voce nell’ipnosi, il canto nella ninna nanna, contribuiranno a fare il resto.
Scriveva Milton Erickson: “Io mi mando in trance per essere più sensibile alle intonazioni e alle inflessioni dei discorsi dei miei pazienti. E anche per poter sentire meglio e vedere meglio. Entro in trance e dimentico la presenza degli altri. E la gente mi vede in trance” (aneddoto de “Il professor Rodriguez”) [4].
Era questo uno dei suoi racconti preferiti per illustrare l’importanza della trance per uno psicoterapeuta al fine di trovare il modo di rispondere efficacemente a un paziente. Così come una madre con le reazioni del bambino durante la ninna nanna: la circolarità non rende più comprensibile lo stadio di inizio della trance, ma, soprattutto, non lo rende più importante.
In una ninna nanna quale: Ninna oh ninna oh - che pacenza che ce vo’ - mo' te sbatto pe’ gli comò - ohò! ohò! ohò!, per citarne una, sono gli elementi negativi ad emergere. In moltissime, è espresso il desiderio o la paura di morte, con eventuale rovesciamento finale (Fai la nanna, che tu crepi - Ti portassino via i preti - Ti portassino al camposanto - Fa la nanna, angiolo santo”).
Altri esempi quelli del “padre impiccato”, dell’”infanticida”, i riferimenti agli animali cattivi (la violenza, il dominio) o al sesso (le note galline/civette che facevano l’amore con la figlia del dottore - il dottore si ammalò, una punizione?), filastrocche sì ma di tradizione comunque, in Italia, per tutti i bambini, lamenti funebri, invocazioni religiose, e tutte quelle (molto frequenti) in cui il bambino è visto come un peso. In quest’ultimo caso, la madre si pone come protettrice del bambino pur evocando quell’angoscia contenutistica cui il bambino sembrerebbe non dar importanza. Ma ve la dà, eppur si sente protetto.
Gianni Rodari affermava che “una parola gettata nella mente a caso produce onde di superficie e di profondità̀, provoca una serie infinita di reazioni a catena, coinvolgendo nella sua caduta suoni ed immagini, analogie e ricordi, significati e sogni, in un movimento che interessa l’esperienza e la memoria, la fantasia e l’inconscio e che è complicato dal fatto che la stessa mente non assiste passiva alla rappresentazione, ma vi interviene continuamente” [5].
Nella ninna nanna la funzione dell’addormentamento si realizza non tanto attraverso le parole, quanto attraverso i suoni vocalici cullanti legati al vissuto materno. La comunicazione passa attraverso il calore e il contatto corporeo, l'abbraccio e il contenimento, il respiro, il canto, e tutto ciò che è, nel non verbale, una ninna nanna.
O ancora, la caduta (della torre, della culla, del bambino stesso), la quale costituisce la replica metaforica della caduta dallo stato di veglia a quello di incoscienza. In quest’ultimo caso, ciò che sembra essere negativo in realtà - esattamente come in ipnosi - può costituire il movente psicologico per “cadere”, lasciarsi andare, il fall asleep inglese.
Si rinviene lo stesso intento anche in narrazioni meno “efferate”, quelle nelle quali la formula di discesa è più “dissolvente”: la notte che cade, la lampada che si spegne, la legna che brucia fino a consumarsi lentamente. Sono tutti esempi tratti da ninne nanne. Non solo questo. Forte parallelismo è quello con narrazioni che sembrano prive di senso ma che, in realtà, adottano le stesse tecniche ipnotiche.
Una su tutte, la ninna nanna veneta: Nana bambin, nana bambin - e dormi dormi più di una contesa; - to mama la regina - to padre il conte; - to madre la regina dela tera, - to padre il conte della primavera. Qui si ha un procedimento di discesa e di improvviso ritorno alla realtà, dalla contessa alla regina, alla regina della terra, dal padre conte al conte della primavera. Qualcosa come a dire, metaforicamente: eccola, la realtà. Una sorta di risveglio, che in realtà è invece una trance/addormentamento in cui il paziente/bambino si riconnette alla realtà eppur già dorme.
Partendo dalla stessa struttura fonica del termine italiano ninna nanna, si nota la ripetizione della nasale (n), che corrisponde a suoni dolci e tranquillizzanti. Come sonno, cibo, culla, nonna. Per questo spesso anche la parola “ninna nanna” è inserita nella stessa ninna nanna (Ninna nanna, ninna oh, - questo bimbo a chi lo do? - Lo darò alla Befana - Che lo tiene una settimana - Lo darò all'Uomo Nero - Che lo tiene un anno intero - Lo darò all'Uomo Bianco - Che le tiene finché è stanco - Lo darò al Saggio Folletto - Che lo renda Uomo perfetto!, con più versioni diversamente intendibili: Lo darò alla sua mamma - che lo metta a far la nanna oppure la più contraddittoriamente angosciosa Se lo do al Bambin Gesù, - se lo tiene e non ce lo dà più).
Ancora dal punto di vista dell’intonazione, e nel parallelismo con l’ipnosi, l’oh oh spesso presente nelle ninne nanne corrisponde cineticamente al movimento avanti-indietro, e lo schema ad onda del tono vocale favorisce una discesa rapida prolungando al massimo la salita. La ninna nanna, con le sue strategie fonetiche parallele al movimento corporale, accentua il motivo della caduta e la discesa nel sonno/trance, ossia nel semiconscio.
“In termini di esecuzione, il carattere intimo e privato della recitazione ne fa funzionalmente un soliloquio. La catarsi o la soddisfazione dell’esecutrice (…) sembra duplice: il bambino è affidato al sonno liberandola momentaneamente dall’impegno e dalla responsabilità, e l’esecutrice ha dato voce all’amore, alla fatica e all’ansia. (…) L’atto di indurre il sonno col ricorso alla ninna nanna fornisce alla madre un’occasione di riflessione e di autoespressione, spesso in diretta relazione con il benessere e il futuro del bambino, ma talvolta rivelatrice di rivendicazioni private non riconosciute, sotto forma di confessione inascoltata” [6]. E, così, ha un effetto catartico.
Come spesso accade anche all’ipnotizzatore, nel controtransfert ad esempio. I due soggetti del rapport ericksoniano si trovano, così, a suggellare una relazione anche attraverso rivendicazioni di oggetti emersi nel corso delle sedute, sempre al fine di benessere del paziente (bambino) ma con effetto potente sullo stesso terapeuta (caregiver).
Via via che si canta la ninna nanna, è sempre più il bambino a far da guida alla mamma, e a mano a mano che si abbandona al suono della voce materna cambia il suo modo di pesare sulla madre, la quale registra in modo automatico, anche inconsapevolmente, la variazione di modalità̀ di essere del peso del bambino. Mentre culla, la mamma segue, ovvero mima, il calo delle tensioni muscolari del bambino che si è addormentato, ed in questo procedimento modifica le tensioni delle sue braccia, l'emissione dei suoni e della sua voce. È ciò che avviene nel rispecchiamento ipnotico.
Erickson diceva: “Ritrovati felice di qualcosa, qualcosa avvenuto tanto tempo fa. Qualcosa tanto tempo fa dimenticato”. Qualcosa come una ninna nanna.
BIBLIOGRAFIA
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NOTE
[1] DEL GIUDICE L., “Ninnananna-nonsense? Angoscia, sogno e caduta nella ninnananna italiana”, in La Ricerca Folklorica, no. 22 (1990)
[2] SANGA G., “La comunicazione orale e scritta: II linguaggio del canto popolare”, Brescia: Giunti/Marzocco.
[3] DEL GIUDICE, cit.
[4] ERICKSON M., “La mia voce ti accompagnerà”, Astrolabio, 50.
[5] RODARI G., “Grammatica della fantasia”, Einaudi, Torino, 1973.
[6] DEL GIUDICE, cit.
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